Perché non devi “etichettare” tuo figlio

Perchè non devi etichettare tuo figlio

Alzi la mano a chi non è mai successo di trovarsi a dire a proprio figlio frasi come:

  • “Sei sempre il solito”
  • “Non cambi mai”
  • “Sei troppo disordinato”
  • “Non ubbidisci mai” etc…

Se vi è capitato tranquilli: è normale succeda. Però è un atteggiamento sul quale dovremmo interrogarci, soprattutto se lo facciamo con una certa frequenza.

Come spiega Silvia Vigetti Finzi (una delle più importanti psicoterapeute dell’età infantile e non) “Alcune parole stigmatizzanti che possiamo dire ai nostri figli, come quelle sopracitate, non fanno altro che trasformare un comportamento sbagliato in un tratto del carattere”.

Il metodo danese per crescere bambini felici di Jessica Alexander e Iben Sandhal

La prima volta che sono andata dalla pedagogista per cercare di “gestire” meglio il mio secondo figlio, ho esordito dicendo: “e comunque ha davvero un pessimo carattere”.  Sono stata subito redarguita perchè, senza rendermene conto, stavo legittimando mio figlio ad avere quel “pessimo carattere” di cui tanto mi lamentavo, in un qualche modo incentivandolo.

Come era possibile questa cosa? Etichettando (tra l’altro dal mio unico punto di vista) il suo modo di essere e ribadendoglielo in più modi, stavo costruendo davanti ai suoi occhi una parte della sua identità. E’ un po’ il meccanismo delle profezie che si autoavverano, stavo compiendo il primo passo per farlo diventare proprio così come io lo avevo definito.

Avete presente quella frase che dice “trattate le persone come sono e lo resteranno, trattatele come vorreste che fossero e lo diventeranno”? Ecco, io – in accordo con questo principio – stavo “rinforzando” e avvalorando quei tratti per me di complessa gestione.

Nel libro “Il metodo danese per crescere bambini felici” è spiegato molto bene il fatto che un bambino a cui viene detto come è, o come dovrebbe fare, o come dovrebbe sentirsi nelle diverse situazioni, inizia ad adagiarsi in quel ruolo che noi gli abbiamo cucito addosso, identificandosi in esso. Ma quel che è peggio è che c’è il rischio che inizi anche lui a credere seriamente di essere magari “un egoista”, “un frignone” “un introverso” “uno troppo permaloso” “uno scarso nel disegno ma bravo in matematica” e via dicendo…

Del resto siamo proprio noi a dirglielo, le persone di cui lui si fida di più e che sono convinte di conoscerlo meglio di chiunque altro. Perchè non dovrebbe crederci? Se qualcuno ti ripetesse tutti i giorni più volte al giorno che sei uno stupido, e magari lo facesse fin dalla prima età, tu forse non finiresti per convincertene?

Allen Holmegren (uno psicologo danese citato nel libro) afferma che “La nostra realtà è creata dal linguaggio che usiamo. Qualunque cambiamento comporta quindi un cambiamento di linguaggio. Un problema è solo un problema se lo vediamo tale”.

Avevo sempre la tentazione di considerare mio figlio oppositivo, testardo e troppo permaloso. Ho imparato però a leggere queste caratteristiche in controluce luce e a vederlo non più oppositivo ma molto determinato e risoluto nel raggiungere i suoi obbiettivi (un futuro leader?), non più troppo permaloso ma semplicemente molto sensibile. E’ vero, è bastato dare un nome diverso a medesimi atteggiamenti per accettarli e conviverci più serenamente ma soprattutto per evitare inutili e pericolose stigmatizzazioni.

Il metodo danese per crescere bambini felici di Jessica Alexander e Iben Sandhal

Il potere delle etichette può davvero fare danni: rischia di influenzare i nostri figli a vita sulla percezione che hanno di loro stessi. Le etichette possono diventare profezie che si autoavverano. Spesso, negli ultimi anni e in modo troppo superficiale, la timidezza diventa sindrome di Asperger, i bambini irrequieti divengono affetti dal disturbo di deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e via dicendo con tutte le conseguenze che questo comporta.

Inoltre, non bisogna dimenticare che il carattere e la personalità dei nostri figli sono ancora in divenire, una sorta di “work in progress” e noi, nel ruolo di “allenatori”, dobbiamo stimolare i loro punti di forza, aiutarli a credere in loro stessi, nelle loro capacità senza etichettarli o demonizzando alcuni loro atteggiamenti.

Piuttosto impariamo a incentivare il cambiamento, a sperimentare (noi con loro) nuove strade e nuovi modi di essere perchè questo “atteggiamento di apertura” non farà altro che crescere figli più flessibili e capaci di “adattarsi” alle diverse situazioni che incontreranno nel loro percorso di vita.

Del resto “Il vento non spezza i rami flessibili”.

Questo è un bellissimo video sul potere delle etichette e di cosa può succedere se proviamo a “stichettarci”

Il metodo danese per crescere bambini felici di Jessica Alexander 

Il metodo danese per crescere bambini felici di Jessica Alexander e di Iben Sandahl

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